Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno condannato il governo italiano a risarcire il cittadino eritreo Kefela Mulugeta Gebru, uno dei migranti a cui per dieci giorni, dal 16 al 25 agosto del 2018, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini impedì di sbarcare dalla nave Diciotti della Guardia Costiera, bloccata nel porto di Catania dopo averli soccorsi in mare. Annullando la sentenza della Corte d’Appello di Roma, che aveva negato il risarcimento, il collegio ha rinviato il procedimento a una diversa sezione della stessa Corte, che dovrà quantificare il danno. L’ordinanza, depositata giovedì 6 marzo, avrà valore decisivo per tutte le azioni civili contro l’Italia presentate dai profughi a bordo della nave: si tratta in totale di 41 cause, in cui si chiedono alla Presidenza del Consiglio e al ministero dell’Interno danni che vanno dai 42mila ai 71mila euro. In relazione alla vicenda Diciotti, Salvini era stato indagato per sequestro di persona dal Tribunale dei ministri di Palermo, che aveva chiesto al Senato l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, respinta coi voti dell’allora maggioranza M5s-Lega.
Salvini: “Vergognoso”. Meloni: “Affermato un principio opinabile” – Il ministro delle Infrastrutture e leader del Carroccio ha commentato la decisione a margine di un evento a Milano, definendola “vergognosa” e “un’altra invasione di campo indebita“: “Se c’è qualche giudice che ama così tanto i clandestini, li accolga un po’ a casa sua e li mantenga. Chissà se di fronte allo splendido palazzo della Cassazione allestissero un bel campo rom e un bel centro profughi, magari qualcuno cambierebbe idea”. Contro il verdetto si scaglia con un comunicato anche la premier Giorgia Meloni: “Le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno condannato il governo a risarcire un gruppo di immigrati illegali trasportati dalla nave Diciotti perché il governo di allora, con ministro dell’Interno Matteo Salvini, non li fece sbarcare immediatamente in Italia. Lo fanno affermando un principio risarcitorio assai opinabile, quello della presunzione del danno, in contrasto con la giurisprudenza consolidata e con le conclusioni del procuratore generale”, sostiene. “In sostanza, per effetto di questa decisione, il Governo dovrà risarcire – con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse – persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente, ovvero violando la legge dello Stato italiano. Non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni e confesso che dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare, è molto frustrante“.
Il passaggio sulla “presunzione” – In realtà l’ordinanza delle Sezioni unite – il massimo collegio della Suprema Corte, che decide sulle questioni in diritto più rilevanti – ha riconosciuto ai migranti il diritto al risarcimento del danno causato dalla “illegittima restrizione” della loro libertà personale, “non giustificata” da un provvedimento valido, “in violazione dell’articolo 13 della Costituzione”. Ai fini risarcitori, però, “quel che rileva non è la lesione in sè del diritto“, ma la prova delle “conseguenze pregiudizievoli che ne derivano”: una prova che la Corte d’Appello non aveva considerato raggiunta sulla base degli elementi forniti dal migrante. La Cassazione, invece – nel passaggio contestato dalla Presidente del Consiglio – afferma che quella prova “può ben essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti, tanto più per una vicenda dai contorni fattuali chiari come quelli di cui si tratta”. In sostanza, quindi la Cassazione valorizza la “massima di esperienza” del fatto che una restrizione della libertà personale di dieci giorni sia normalmente in grado di causare un danno psicologico e relazionale a chi la subisce”.
“Il no allo sbarco non fu atto politico” – Prima di entrare nel merito della richiesta di risarcimento danni, le Sezioni unite – respingendo una delle tesi del governo – avevano negato che il blocco deciso da Salvini potesse considerarsi un atto politico, e in quanto tale non sindacabile dai giudici, come invece aveva ritenuto il Tribunale in primo grado. “L’azione del governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati. Alla luce di queste premesse”, si legge nell’ordinanza, “va certamente escluso che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale”: “Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo“, scrive il consigliere relatore Emilio Iannello.
Destra all’attacco. Il giudice: “Le sentenze vanno lette” – “Le sentenze, sopratutto se espresse a Sezioni unite della Cassazione, vanno lette e studiate ed eventualmente criticate nel merito, e non perchè “non piacciono”. Ieri è stata ribadita la primazia dei diritti fondamentali delle persone sulle volontà delle maggioranze di turno, anche se schiaccianti”, commenta Giovanni Zaccaro, giudice della Corte d’Appello di Roma e segretario di Area, la maggiore corrente progressista della magistratura. Ma dal centrodestra gli anatemi si accavallano: “Per certi magistrati entrare in Italia illegalmente è consentito. Se lo impedisci, devi risarcire gli immigrati. Scelte folli che offendono tutti i cittadini”, attacca Fratelli d’Italia sui social. Il vicepremier Antonio Tajani dice di non condividere la decisione “nelle basi giuridiche e nei contenuti”, ma dimostra di non avere ben chiari i termini del problema: “Se ogni migrante clandestino che non entra in Italia fa una causa al governo italiano e il governo italiano deve pagarlo, faremmo saltare i conti pubblici”, afferma il segretario di Forza Italia, come se tutti i clandestini venissero bloccati per dieci giorni su una nave in violazione di legge.