di Francesca Basso
Sì al piano von der Leyen. Sostegno a Kiev, il grazie di Zelensky. Ma Budapest mette il veto e annuncia sui social «un referendum di consultazione in Ungheria sull’adesione dell’Ucraina all’Ue»
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
BRUXELLES Il vertice della svolta con Viktor Orbán e nonostante Viktor Orbán. L’accelerazione sulla difesa comune e il piano ReaArm Europe presentato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen — «l’Europa affronta un pericolo chiaro, dobbiamo essere in grado di proteggerci» ha detto al suo arrivo — ha registrato il sostegno dei Ventisette, aprendo la strada a 800 miliardi di investimenti nei prossimi quattro anni e all’allentamento delle regole su debito e deficit, per consentire ai Paesi di spendere di più in difesa. La Commissione presenterà due proposte legislative nei prossimi giorni per permettere di avanzare nelle decisioni già nel summit del 20 e 21 marzo.
Invece sul sostegno all’Ucraina e sulle modalità della pace il premier ungherese Orbán si è sfilato, restando fedele a Trump e Putin. Budapest ha mantenuto il veto annunciato alla vigilia del Consiglio europeo straordinario convocato da António Costa per discutere di Kiev e della difesa comune. I Ventisei hanno isolato l’Ungheria e sono andati avanti comunque sottoscrivendo la dichiarazione del presidente del Consiglio europeo, che fino all’ultimo ha cercato l’unità. La reazione del premier magiaro, al termine del vertice è stata quella di annunciare sui social «un referendum di consultazione in Ungheria sull’adesione dell’Ucraina all’Ue» perché «non si può decidere sull’adesione dell’Ucraina all’Unione europea sopra la testa delle persone».
Il presidente Zelensky è intervenuto di persona all’inizio del summit è ha ringraziato i partner europei, che lo avevano sostenuto dopo lo scontro con Trump: «Siamo molto grati di non essere soli. E non sono solo parole. Lo sentiamo». I leader Ue hanno discusso di difesa per circa quattro ore e mezza poi hanno affrontato il tema Kiev ma dopo poco più di mezz’ora è risultato chiaro che Orbán non avrebbe cambiato la sua posizione e dunque si sono accordati sulla dichiarazione a Ventisei, proseguendo quindi il confronto. Alla vigilia anche il premier slovacco Fico aveva sollevato dubbi sulle conclusioni ma è stato riportato nell’alveo della maggioranza aggiungendo nel testo l’invito a Commissione, Slovacchia e Ucraina a intensificare gli sforzi per trovare soluzioni praticabili alla questione del transito del gas. Per Orbán restano inaccettabili il raggiungimento della «pace attraverso la forza» così come i cinque principi concordati dai Ventisei per la pace e l’impegno dell’Ue e degli Stati membri a «contribuire ulteriormente alle garanzie di sicurezza basate sulle rispettive competenze e capacità, in linea con il diritto internazionale, anche esplorando il possibile utilizzo di strumenti di politica di sicurezza e difesa comune». Le garanzie di sicurezza — si legge nel testo — dovrebbero essere intraprese insieme all’Ucraina, nonché con partner che condividono gli stessi ideali e con la Nato.
Sulla difesa comune Orbán si è allineato all’Ue. Le conclusioni registrano passi avanti che fino a poco più di dieci giorni fa erano impensabili. Hanno pesato le mosse degli Stati Uniti nei confronti di Kiev ma è anche l’effetto Berlino dopo le elezioni tedesche: la Germania è tornata. Il cancelliere uscente Scholz ha proposto di valutare l’ipotesi di intervenire sul patto di Stabilità per escludere una quota di spese per la difesa per i prossimi 10 anni (una vera inversione a U), ritenendo non sufficiente la proposta della Commissione Ue di attivare in modo coordinato la clausola di salvaguardia nazionale prevista dal patto di Stabilità per consentire ai Paesi Ue di spendere fino all’1,5% del Pil in difesa senza incorrere nell’apertura della procedura per deficit eccessivo. La richiesta tedesca è stata subito recepita nelle conclusioni di ieri pur tenendo conto delle preoccupazioni degli ultimi Paesi frugali rimasti tali, ovvero Olanda, Austria e Svezia. E così il Consiglio europeo oltre ad accogliere «con favore» l’intenzione di attivare la clausola di salvaguardia nazionale «come misura immediata», invita la Commissione a «valutare ulteriori misure, garantendo nel contempo la sostenibilità del debito».
Più tiepido l’atteggiamento verso il nuovo strumento volto a fornire ai Paesi prestiti garantiti dal bilancio dell’Ue fino a 150 miliardi. Il Consiglio europeo ne «prende atto» solamente anche se invita il Consiglio a esaminarla con «urgenza». Tutti concordano che quello di ieri è il primo passo – il «primo pacchetto» ha detto Costa – e altre misure arriveranno ma resta il no tedesco al debito comune. Mentre sembra prendere piede l’ipotesi polacca di una banca per il riarmo aperta anche ai Paesi extra-Ue.